Jingge Dong – “Una rockstar all’Accademia di Venezia”

Mi trovo nel giardino del museo Guggenheim di Venezia, ad ascoltare Caparezza mentre viene intervistato stando seduto sul trono marmoreo della proprietaria Peggy.
E’ il 21 Maggio, e fra giusto tre giorni sarà il 50esimo anniversario di quella famosa sera al Brancaccio di Roma, dove Jimi Hendrix sfasciò la sua chitarra sul palco. Si respira quindi un’atmosfera particolare, parlando di Musica che ha fatto la storia e bevendo uno spritz in un giardino che ne ha fatto altrettanta. Io purtroppo mi distraggo dall’intervista per colpa delle pennellate arancio del tramonto sopra una timida luna emergente, un quadro incorniciato dalle foglie degli alberi che mi circondano.
A un certo punto però, sento una frase che mi riporta con i piedi per terra alla velocità di un ascensore in caduta libera:

“Come un musicista, se vuole esprimere un’emozione, scrive una canzone, così un artista dipinge un quadro.”

E’ la stessa frase che ha usato Jingge Dong con me per descriversi tre giorni prima. Purtroppo l’ho interrotto mentre era ancora indaffarato su un suo quadro, ma il ragazzo che mi sono ritrovato davanti, con le punte dei capelli neri infarinate di pittura fresca, mi ha sorriso a trentadue denti. Era pronto per l’intervista.

Jingge Dong, nato a Pechino il 12 Febbraio 1989, è iscritto al secondo anno dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Confesso di aver fatto qualche ricerca prima di questa intervista.
Sulla carta si presenta alla grandissima, vincitore di molteplici riconoscimenti tra cui il MarteLive 17 della Biennale e il Celeste Prize con il quadro “La notte Bianca”. Insomma, è arrivato a Venezia a gamba tesa. Ma come ci è riuscito?
Inizio subito domandandogli del passato in Cina, dove il suo percorso artistico ha avuto inizio.

“Ci tengo subito a precisare che in Cina il corso di laurea triennale dura quattro anni e quello magistrale invece tre anni. C’è una bella differenza”.

Fin dall’infanzia si accorge, senza tanti fronzoli, di essere più bravo a disegnare dei suoi compagni. Da quel momento continua a studiare seguendo un percorso di stampo artistico per poi arrivare a iscriversi all’Università. Quattro anni a Shangai e successivamente tre anni a Pechino, per un totale di ben sette anni di studio sulle Arti Classiche.
Mi parla di come i primi anni siano stati molto impostati sul copiare, sull’arte figurativa, sulla pittura a olio e sull’imitazione dei grandi classici. Poi la prima svolta, durante la Magistrale, con un professore a lui molto caro che lo stimola a un’imitazione più libera. Da quel momento Jingge Dong inizia a distendere le sue ali artistiche fino a poi prendere il volo per arrivare in Occidente, un mondo che l’ha sempre affascinato a livello artistico.

“Ho studiato Rembrandt e sopratutto Caravaggio: adoro come riesca a controllare luci e ombre nei volumi. Ho fatto dei lavori simili ai suoi in Cina. Ma ora avevo bisogno di più libertà”.

Infatti, all’Accademia di Venezia inizia a scoprire il mondo dell’Espressionismo, dell’Arte Contemporanea e Astratta. Ma se guardate le sue opere d’arte, perchè a chiamarli solo quadri o tele sarebbe riduttivo, quei sette anni in Cina si vedono perfettamente. Una mano allenata, esperta, che non si muove mai a caso. Nonostante un po’ di caos possa esserci. E proprio per questo comincio a indagare su questo balzo intercontinentale.

“Mi sento un po’ come l’esempio perfetto dello sviluppo dell’arte. Sono partito dalle prime forme classiche fino all’astrattismo”.

Gli chiedo più volte, in maniera sempre differente, che cosa cercasse di portare ai nostri occhi, quale fosse il suo intento, il suo messaggio. A questo punto Dong mi si avvicina e abbassa il tono di voce, fino quasi a perdere il suo marcatissimo accento cinese.

“Sai Marco, io sono alla ricerca della Bellezza. Non importa il contenuto, voglio rendere una scena, che certamente mi colpisce, ancora più attraente. Per me e per voi”.

In questi due anni è riuscito passo dopo passo a staccarsi sempre di più da quell’impostazione Classica e figurativa, riuscendo ad assorbire al meglio la filosofia del pensiero astratto. Ora è lui che crea il lavoro, o bambino, come piace definirlo a lui. Non c’è più imitazione. I colori stessi sono nati dall’immaginazione.

Abbiamo parlato della vita in Oriente e in Occidente, di Musica e di Bellezza, e quando l’ho salutato mi sono accorto di avere il mio piccolo quadernetto con solo un paio di righe scribacchiate. Jingge Dong è un po’ una rockstar che ti ammalia e ti fa perdere l’orientamento.
Ho come il presentimento che se la Signora Peggy Guggenheim avesse potuto incontrarlo, di sicuro lo avrebbe invitato nel suo giardino a prendersi un The.
Se ancora avete dei dubbi su chi sia Jingge Dong, andate a vedere le sue opere e la notte in cui camminate vi diventerà bianca. Intesi?

Assaggialo.

Marco Cossaro

 

 

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