Mario Silva e la ricerca dell’inaspettato

“La mia arte è autoreferenziale; mi mobilita e mi dà forza. Ho astratto il concetto della mia arte astratta. E’ una continua scoperta di me stesso. Uso l’inaspettato come forma di ricerca interiore, un seguire la mia mano cercando di concretizzarne il significato perché tutto quello che faccio è frutto di qualcosa interiore”

Mario Silva, nasce a Londra dove trascorre una prima parte della sua vita; una città con cui è particolarmente legato e da cui non riesce a separarsi. A 5 anni si trasferisce a Milano dove vive e studia fino all’ottenimento del diploma. Nel 2012, ritorna a Londra iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti entrando in contatto con l’artista Ewa Gargulinska: artista polacca promotrice del Expessionist Romanticism, una serie di lavori legati alla ricerca dell’inaspettato attraverso l’uso congiunto di concetti astratti e figurativi. Questo incontro è fondamentale per Mario continuando tutt’oggi a portare avanti questo studio; una ricerca che ha definito interessi e scelte nel corso dei suoi studi influenzando profondamente il suo modo di vedere le cose intorno e dentro di lui.

“Mi sento molto legato a Ewa e alla sua corrente di pensiero; diciamo che siamo parenti in senso estetico. Lo scopo di questo stile è rendere il quadro più aperto possibile! Il risultato finale è un’opera che avrà diverse chiavi di lettura da parte del fruitore e dell’autore. Non c’è predeterminazione nell’atto, si seguono una serie di regole stilistiche come il non ripetere le figure o non tagliare gli angoli. L’ artista analizza il quadro una volta terminata l’opera, allontanandosi da questa per averne una visione globale connettendolo poi con sé stesso”.

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Lascia l’accademia di Londra, per andare a Milano dove studia arte design e spettacolo allo IULM dove ha un approccio più teorico che pratico all’arte. La sua tesi di laurea è sulla trasposizione della fisicità, o aura, degli oggetti d’arte all’interno del panorama digitale, in cui hic et nunc cessano di essere componenti fondamentali dell’essere di un operato artistico.  Un esempio di trasposizione è quello che si può instaurare tra un dipinto in una cappella del 1400 che utilizza una tecnica simile Pollock e lo stesso pittore newyorkese.

Parallelamente, continua la sua ricerca dell’inaspettato che lo conduce davanti a una fase di non U-turn. Infatti, osservando la sua rigogliosa produzione artistica durante il triennio milanese, scopre una certa ridondanza di forme e colori che convogliano in tre elementi distinguibili: corpo, spazio e interno. Questa inaspettata scoperta, lo riempie e lo svuota nel medesimo momento; infatti, il capire la sua arte ha la conseguenza in lui di riconoscere la sua comfort zone dove per anni ha sguazzato inconsciamente.

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“Dopo questa scoperta mi sono iscritto all’ Accademia di Belle Arti di Brera, dove ho passato un anno molto difficile in cerca della mia strada. Infatti, complice la mia ingenuità dal punto di vista tecnico, sono passato da dipingere moltissimi quadri quando ero allo IULM a non finirne neanche uno in un anno. Percepivo troppi stimoli esterni e provavo l’angoscia dell’essere influenzato. Non riuscivo a prendere decisioni; a capire cosa fosse giusto o sbagliato.”

Dopo un primo anno difficile Mario decide di intraprendere l’Erasmus all’accademia di Belle arti di Atene, dove si trova in questo momento inserito in un nuovo contesto artistico e geografico. Il blocco avvenuto durante questo percorso di evoluzione lo ha condotto in una serie di sensazioni altalenanti, alienato sia dall’ambiente che dalla sua tecnica. Un percorso che non sa dove lo condurrà ma che palesa un grande spessore culturale della sua arte a chiunque lo ascolti.

 

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